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Claudia Buccellati: ” chi si inventa il lavoro in Italia non fa notizia”

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Claudia Buccellati ha grinta da vendere e non le manda certo a dire. 35 anni consacrati al mondo dei gioielli e ora una vita da consulente aziendale in progetti di marketing, è da sempre protagonista dell’alta società milanese e impegnata in prima fila nel promuovere attività sociali e culturali.

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Claudia Buccellati, qual è il suo approccio come imprenditrice?

Sono convinta che se si ha determinazione si può rompere il muro che ancora oggi esiste nei confronti del mondo imprenditoriale femminile. Nella mia vita ho fatto un’esperienza straordinaria. Ero giovane e  bella: sono stata scelta da una grande azienda che faceva piastrelle e mi occupavo delle relazioni con tutti gli studi di architettura. Poi, quando si è trattato di scegliere un capo area prima e un direttore vendite poi sono risultata l’unica donna che ha passato le selezioni. Ecco: ho incontrato problemi e resistenze enormi, ad esempio con i venditori che non volevano avere un capo donna eccetera. Anche se risale a qualche anno fa è stata certamente un’esperienza formativa.

Succede lo stesso anche oggi?

Sì: mentre per un uomo si dà per acclarato che abbia valore, una donna fa fatica a dimostrarlo. Però – devo essere sincera – una volta che una donna dimostra il suo valore ha poi vita più facile rispetto ad un uomo.

In che senso?

A parità di grado una donna che si fa valere acquista più rispetto in confronto ad un uomo di pari grado e ruolo, perché ha dimostrato di avere gli “attributi”. Quando una donna ha credibilità e professionalità può dire cose che un uomo non può dire, può essere più diretta.

Secondo lei l’Italia è pronta per le leadership femminili?

Non abbastanza. Ci sono ancora troppi vecchi e la cultura tutta è ancora troppo vecchia. Prenda l’età media politici: se uno non ha 80 anni in Italia non è nessuno. Certo non è che la classe politica debba essere giovane a tutti i costi – non sarebbe meritocrazia – ma per carità: basta! Anche se non sono certa che una classe dirigente più giovane permetterebbe di certo alle donne di emergere.

Cosa pensa del ruolo delle donne in politica nell’era Renzi? La rottamazione è stato il cavallo di battaglia del premier e nel governo ha applicato le quote rose, mettendo ministre in dicasteri importanti. Oggi le donne riescono a portare le proprie competenze al servizio del Paese?

A volte. Altre però vengono fatte scelte sbagliate perché si scelgono donne che non sono in grado di ricoprire certi ruoli. Se bisogna mettere in un certo ruolo una persona solo perché è giovane e donna non basta. Ci vogliono competenze, competenze che non hanno più nulla a che fare con anni di militanza politica o con l’essere un’igienista dentale. Con Renzi abbiamo fatto passi in avanti, ma temo si tratti più di immagine che di cambiamento culturale.

Si dirà che almeno da qualche parte si dovrà pur cominciare.

E io sono d’accordo. A Milano si dice: “Piuttosto che meglio, è meglio ‘piuttosto’”: se dobbiamo ingoiare le quote rosa e sentirci specie protette facciamolo, però teniamo sempre presente dove vogliamo arrivare, pretendendo scelte di leadership di qualità. Ci vuole anche quella che io chiamo la “quota grigia” (di materia grigia, intendo). Altrimenti continueremo ad essere Paese senza futuro. Per mia natura sono molto attirata dalle cose che non funzionano.

Lei unisce da tutta la vita l’impegno sociale a quello da imprenditrice e manager. Come vede il futuro delle donne nel terzo settore?

Il loro ruolo è fondamentale: le donne sono di più e forse hanno anche più tempo a disposizione. È necessaria però una riqualificazione: troppe sono le associazioni autoreferenziali. Anche in questo settore emerge un dato schiacciante: se una donna vuole fare carriera ci riesce benissimo, perché è frutto di una sua scelta consapevole. Sono presidente dell’Associazione per il Policlinico Onlus: un’azione di volontariato che in fondo è gestione di impresa. L’ospedale ha tanti problemi, tra cui quello di essere eccessivamente sindacalizzato. Mi sono resa conto che mancavano informazioni, non c’era segnaletica, era impossibile orientarsi. Allora abbiamo realizzato un punto di informazione e ascolto al padiglione Sacco, che è anche il primo punto per chi vuole curarsi dalla ludopatia. Con il Comune di Milano e un’azienda americana abbiamo poi realizzato il progetto “RianimaMI” per dotare le vetture dei vigili urbani di defibrillatori; in Italia 65mila persone all’anno muoiono di arresto cardiaco, più del 73% fuori dall’ospedale. Stiamo poi affrontando il problema degli homeless negli ospedali, studiando un sistema di cui non posso ancora parlare ma che può diventare un modello. I problemi vanno risolti. Ovunque. E non esiste nulla che non si possa risolvere.

Dopo una vita nel mondo dei gioielli lei ora si occupa di marketing, edilizia e terzo settore. Come fanno oggi le donne a reinventarsi in tempi di crisi?

La donna è abituata a risolvere i problemi, è nel suo dna. E l’abusatissimo multitasking è realtà. L’uomo non ha, in genere, queste caratteristiche, e non è colpa sua: si tratta anche di abitudini ormai sedimentate nei secoli. Poi per carità, ci sono donne che non vanno neanche a comprare un fazzoletto senza essere accompagnate. Però in generale la forma mentis del problem solving è tipicamente femminile. Se un problema c’è va risolto: poi magari una donna può mancare di continuità, perché è geniale, ha un encefalogramma che fa su e giù e non riesce a portare a termine tutto. È necessario sfruttare al massimo le differenze tra i generi, le vocazioni innate per una professione piuttosto che per un’altra, per ottenere i massimi risultati, soprattutto in momenti di crisi. Faccio parte di un’associazione che si chiama “Donne & Tecnologia”, dove ho avuto la possibilità di incontrare persone straordinarie. Mi vengono in mente ad esempio due giovani che hanno inventato tessuti fatti con le bucce d’arancia. O un’altra, Annalisa Balloi, sarda, che ora sta restaurando anche Sant’Eustorgio qui a Milano. Sa come? Usando i batteri. Le donne diventano forti se riescono a fare networking.

“Come ti combatto la crisi” è il progetto di Donne sul Web per raccontare la realtà imprenditoriale femminile. Cosa ne pensa?

Purtroppo il fatto che ci siano delle donne con gli attributi che si inventano il lavoro, portano innovazione e sviluppano nuove tecnologie non fa notizia. Le start up, le piccole aziende – anche quelle a conduzione maschile – che sono il tessuto sociale fondamentale del Paese, non fanno notizia. Gli uomini non ne hanno bisogno, si sentono arrivati, ma per le donne, ripeto, è necessario fare vero networking, confrontandosi e potenziandosi. Dobbiamo premiare la meritocrazia in questo Paese: l’inamovibilità non serve, chi sbaglia deve pagare, e nel privato è già così. La responsabilità è nel dna della donna, che risponde sempre del proprio operato. In famiglia come nella vita.

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