Dieci cibi di strada italiani che non conosci
Lo street food italiano è più variegato di quanto si creda: ecco 10 specialità semisconosciute da non perdere.

Napoli Lungomare Caracciolo @Contrasto
In ogni parte del mondo la consuetudine del cibo di strada, venduto dagli ambulanti e consumato in piedi o seduti su un muretto con accanto una birra poggiata pericolosamente in bilico, fa parte della cultura alimentare e costituisce una delle abitudini sociali più gioiose e genuine. La globalizzazione ha avuto il vantaggio di portare alla conoscenza dei palati italiani pietanze da strada estere ottime, come il kebab e i felafel o i churros riempiti di cioccolato, e ormai dovunque nel Belpaese si possono trovare chioschi che vendono piadine, tigelle, porchetta.
Ma quali sono i cibi di strada a diffusione soltanto locale e magari stagionale, quelli ancora da scoprire, che sono noti solo ai residenti e si devono provare almeno una volta, per poter dire di aver conosciuto il carattere della località nella quale nascono? Ne abbiamo scelti dieci che troviamo interessanti e rappresentativi di una cultura nascosta dello street food nostrano.
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Piggiolu modde (Sardegna)
In continente non esiste: il piggiolu modde, pane morbido preparato con farina e patate, si trova soltanto sull’isola, prodotto con arte e pazienza dalle panetterie e servito ancora caldo con pecorino, ricotta o prosciutto.
2. Pani c’a meusa (Palermo)

Ancora isola, ancora pane, farcito però con un altro elemento tipico delle cucine povere e itineranti: le interiora. Per la precisione si tratta questa volta della milza e del polmone del vitello, prima lessati, quindi fritti nella sugna. Pepe e limone per chi lo vuole “schietto”, anche caciocavallo o ricotta per chi lo ama “maritato”. Questa delizia è per palati coraggiosi e la si trova soprattutto nei grandi mercati, la Vucciria e Ballarò.
3. Crocette (Ancona)
Particolarissimo piatto dalla lunga preparazione: le lumachine di mare (crocette) si devono pulire una a una con un procedimento piuttosto laborioso e si cucinano in umido con salsa di pomodoro. I chioschi anconetani le servono nel cartoccio, dal quale i fortunati avventori, armati di una riserva di tovaglioli, le pescano con le mani e ne sorbiscono il succulento contenuto.
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Cecina (Pisa)
Tipica di Pisa, che ne va orgogliosa al punto da richiedere la certificazione DOP, è in realtà conosciuta con altri nomi e con ricette leggermente differenti anche nella “rivale” Livorno e a Genova. Quella pisana, imperdibile e deliziosa, è una focaccia interamente composta da farina di ceci, cotta nel forno a legna e servita dai fornai dentro a un panino diviso a metà, spolverata di abbondante pepe nero. Il segreto della sua preparazione sta nel lungo riposo dell’impasto.
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Camogliesi (Liguria)
Come si deduce dal nome, si tratta di una bontà tipica di Camogli, splendido paesino sul mare. Lì un minuscolo fornaio giustamente preso d’assalto da residenti e turisti prepara, oltre a una leggendaria focaccia di Recco, questi dolcetti praticamente introvabili altrove. L’impasto è simile a quello dei bignè, ma nella sua versione più classica è ricoperto di cioccolato e granella di nocciole e ripieno di gianduia, anche se esistono molte altre golose combinazioni. I Camogliesi si comprano nel vassoietto da pasticceria, ma poi si portano in spiaggia per uno spuntino indimenticabile, appena il sole cala dietro le montagne.
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Panino con le spuntature (Marche)
Versione “povera” e locale del panino con la porchetta, è costituito da un semplice panino farcito con le parti considerate di scarto: le interiora di vitello, agnello e maiale (in dialetto chiamate “ciarimboli”) cucinati con aglio, rosmarino, aglio e vino. Lo spuntino può considerarsi parente di altre pietanze simili reperibili in altre regioni come il lampredotto fiorentino e il panino con la trippa lombardo. In ogni caso, questa prelibatezza si trova soprattutto durante le feste paesane, venduta dagli ambulanti con il chiosco mobile.
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Cartoccio di fritti (Napoli)
Napoli non è solo pizza margherita piegata in quattro. Un altro must della cucina di strada, meno noto fuori dai confini urbani, è impersonato dai vari fritti da asporto: frittatine di pasta (simili al timballo), pasta cresciuta (l’impasto della pizza cotto nell’olio bollente), crocchette di patate, calamari in pastella… Da leccarsi letteralmente le dita.
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Per e muss (Campania e Puglia)
Eredità della cucina di recupero, consta del muso e dei piedini del vitello lessati e serviti con sale e limone. La cosa curiosa è che viene “sponsorizzato” con scenografiche (si fa per dire) teste di maiale esibite dai baracchini che vendono questa specialità del Sud Italia, benché a quanto dichiarano i puristi non ci sia affatto il maiale nella pietanza, per lo meno non nella versione odierna. Anche in questo caso la ricetta trova declinazioni diverse: in Molise se ne trova una variante che si chiama muss d puorc (muso di maiale).
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Filetti di baccalà fritto (Roma)
Questi filetti di baccalà sono semplicemente rivestiti con una pastella a base di acqua e farina, fritti e serviti nel cartoccio. La tradizione di questa ricetta è squisitamente natalizia, ma la si trova tutto l’anno nelle pizzerie e nelle rosticcerie che la vendono da asporto. I veri romani vanno a comprarle il baccalà alla romana (appunto) “dar filettaro”.
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Necci (Centro Italia)
Sono relativamente comuni nelle zone di Lucca, Pistoia e in generale nelle aree montane che stanno a cavallo fra Toscana, Liguria ed Emilia Romagna. Sono una sorta di crêpes preparate però con la farina di castagne, che tradizionalmente si cucinano premendo l’impasto all’interno dei “ferri”, una sorta di pinza di ghisa che si mette poi a scaldare sulla brace. Gli ambulanti li preparano soprattutto nella stagione fredda, usando lo stesso calderone delle caldarroste, e li servono arrotolati farciti di cremosa ricotta. Irresistibili.
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