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Ilaria Borletti Buitoni: “Donne in politica? Non se ne può più fare a meno”

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Intervista. Sottosegretaria al Turismo, è da trent’anni in prima fila nel sociale e ha fatto della cultura la bandiera della sua esperienza imprenditoriale. La sua famiglia ha ideato La Rinascente e lei, tra volontariato e lobbysmo solidale, ha cercato la sua strada a prescindere da un cognome importante e dalla sua dinastia.

ILARIA BORLETTI BUITONI

Dopo due anni a capo del Fondo ambiente italiano nell’aprile 2013 Enrico Letta la sceglie nella sua squadra di governo come sottosegretaria al Ministero dei Beni Culturali. A febbraio la conferma con il ministro Dario Franceschini e la delicata delega al paesaggio. Con il suo ultimo libro Ilaria Borletti Buitoni parte dall’autobiografia per dipingere l’affresco dell’Italia dall’inizio del secolo scorso, dai ricordi dell’infanzia fino alla scelta di entrare in politica passando attraverso i piccoli e grandi cambiamenti del Novecento e gli anni africani.

Con “Cammino Controcorrente” lei fa “un racconto autobiografico” della sua famiglia e del suo percorso “in opposizione”. Qual è la visione del nostro Paese che ne viene fuori? Come ha visto cambiare l’Italia, dal punto di vista culturale e imprenditoriale, nel suo racconto?

Le differenze ovviamente sono diventate molte con il passare degli anni. L’Italia è una grande nazione, e come tale cambia continuamente, almeno in alcuni caratteri. Alcuni cambiamenti sono stati per il meglio, ma alcuni per il peggio. Tra i cambiamenti in peggio vi è senz’altro la perdita della speranza nella costruzione di un’Italia migliore, della possibilità di poterla addirittura cambiare collettivamente e con la propria personale opera, spinta che contraddistingueva sia la classe operaia di una volta sia la grande borghesia milanese da dove vengo e alla quale appartengo, e che racconto anche nel mio libro. Oggi questa speranza si è persa. I figli non sono ragionevolmente sicuri di stare meglio dei padri, al contrario. Quando noi avevamo venti anni sapevamo che poteva andare storta, che occorreva lavorare duro – perché l’Italia era ancora per molti versi un paese arretrato – ma eravamo pieni di motivazioni a fare e lavorare. Oggi i nostri ventenni sono come privi di batterie: vedono un mondo nel quale il merito conta poco, un paese che perde lentamente ma inesorabilmente posizioni, e si sentono persi. Ho scritto questo libro in primo luogo per loro, per mostrare come non bisogna mai mollare e darsi per vinti, e che altri giovani italiani, tempo fa, si sono rimboccati le maniche ed hanno saputo reagire alle difficili condizioni in cui vivevano. Oggi tocca a loro, ma voglio dire loro che è possibile. Per questo ho scritto questo libro.

Racconta di aver assistito al declino della borghesia milanese e lo sgretolamento della famiglia insieme all’abbandono di molti amici nei momenti più difficili. E si è trasferita in Inghilterra, dove, scrive, “qualsiasi giudizio su di me sarebbe stato legato esclusivamente alle mie azioni, non alla storia che mi aveva preceduto”. Com’è andata?

Vengo da una grande famiglia lombarda e italiana, che ha ideato La Rinascente – il cui nome fu trovato da Gabriele D’Annunzio – e poi partecipato a molta della vita imprenditoriale del novecento. E’ stata una storia di cui sono ancora orgogliosa. Ma ognuno di noi è anche una persona che ex novo si deve provare, e questo per i figli di grandi famiglie è relativamente più difficile da fare in serenità. Quando decisi di andare in Inghilterra, e lì ebbi modo di essere solo Ilaria senza il mio cognome, ho fatto un’esperienza di libertà che mi ha aiutato a crescere e a tirare fuori ciò che di meglio mi era proprio. Sono stati anni formativi – consiglio a tutti i giovani di vivere per un qualche periodo all’estero, quando ciò è possibile – che mi hanno soprattutto insegnato ad avere fiducia nei miei mezzi. Una cosa che poi torna sempre utile nei momenti difficili che inevitabilmente ci aspettano nella vita.

È stata presidente di AMREF e ha avuto più ruoli importanti nel sociale. C’è ancora spazio per questo settore in un’Italia soffocata dalla crisi?

Purtroppo non posso usare l’indicativo, ma solo fare un’esortazione: ci dovrebbe essere. Ma lo spazio ancora non c’è. O, almeno, non ci sono le condizioni per far lavorare al meglio questo settore. E’ giusto da pochi giorni che per esempio il governo ha deciso di tassare retroattivamente le Fondazioni bancarie, con il risultato di causare un caos indescrivibile nei loro bilanci ora in chiusura – perché la richiesta di ulteriori tasse è retroattiva sull’anno in corso e quasi finito – e poi di avere quasi automatici tagli alla loro spesa per il sociale e la cultura. Sono così a rischio – penso a Milano – i contributi per la Scala, Il Piccolo e anche istituzioni minori ma non meno importanti. Una follia. Nel libro ne parlo: l’Italia deve ancora diventare europea e moderna da questo punto di vista. Ma è tutta la legislazione del settore, ed in particolare il riconoscimento del suo insostituibile ruolo nella cultura politica di questo paese, ad essere a tutt’oggi ancora molto poco soddisfacente.

Che bilancio fa ad oggi della sua attività politica? Come politica e come donna.

Se devo essere sincera – e non posso non esserlo, per carattere e per storia personale – il bilancio ad oggi segna profondo rosso. Anche per le ragioni che dicevo prima relativamente al terzo settore, dal quale provengo e al quale costantemente mi rapporto e guardo. Non sono ancora riuscita a dare tutto il contributo civico e ideale che mi ero ripromessa di riversare nella vita politica allorché Mario Monti mi chiese di partecipare al progetto di Scelta Civica. Probabilmente per mia incapacità personale, non c’è dubbio. Ma anche perché la politica oggi è davvero un mondo molto troppo predatorio e personalistico e troppo poco o sempre meno progettuale. Un mondo nel quale non è possibile, per tante ragioni, progettare sul medio-lungo periodo. E nel quale il politico deve pensare a sopravvivere più che a progettare il futuro della nazione e quindi anche il suo. Tutto ciò è lo specchio di una profonda crisi morale della nazione italiana e soprattutto delle sue classi dirigenti, della quale la politica è specchio fedele.

In Italia c’è ancora paura a scegliere donne ai vertici istituzionali? Se sì, perché? E cosa pensa del ruolo delle donne in politica? Sta cambiando davvero qualcosa?

Le donne portano nella politica, come anche negli altri campi, un codice di comportamento e di visione del mondo che è diverso da quello fino ad ora solo imperante e portato dall’uomo. Per esempio portano una concezione olistica della vita e delle attività umane che è diversa da quella monodimensionale degli uomini. Per questo fanno paura. Ma sempre più ciò appare come una ricchezza, per tutti. E sempre meno se ne potrà fare a meno. A partire dalla prossima elezione del Presidente della Repubblica.

E nell’era Renzi? Le donne vengono messe nella condizione di portare le proprie competenze al servizio del Paese?

Con Renzi si è indubbiamente avuto un impulso ad allargare la partecipazione delle donne nella vita pubblica. Quella politica e quella economica. E’ una tendenza cominciata prima, ma che con Renzi ha conosciuto un nuovo scatto. C’è da augurarsi e da lavorare perché esso non sia reversibile, anche dovesse concludersi l’era Renzi.

Ci sono molte figure femminili, in politica e nell’imprenditoria, che continuano ad essere in secondo piano: gestiscono, sono figure chiave, ma non hanno la stessa rappresentazione mediatica e culturale dei vertici maschili. Con “Come ti combatto la crisi”, format di Donne sul Web concepito per dare spazio alle risposte che l’imprenditoria femminile dà alla difficile congiuntura economica, cerchiamo di raccontare le imprese rosa tanto importanti per il tessuto economico del Paese. Perché in Italia c’è così poca attenzione?

L’Italia è un paese conservatore. Ha una grande capacità di innovare, specialmente sotto pressione, ma certamente il suo istinto più profondo è quello di cambiare tutto affinché nulla cambi. Di questo fanno le spese le energie e le risorse umane che non godono già di una posizione di privilegio. La parte più debole della società italiana, insomma. Le donne, certo. Ma anche i giovani, e in particolare quelle e quelli di queste due categorie che vengono dal nostro meridione.

Cosa è necessario fare per far crescere questa attenzione?

La via è una sola: continuare a modernizzare l’Italia. Perché è moderno far sì che anche le donne abbiano la possibilità di prendersi il posto che spetta loro nella società. E modernizzarsi, oggi, significa fare dell’Italia un vero e grande paese compiutamente europeo. Per questo ogni proposta che ci allontani dall’Europa – fosse anche quella insoddisfacente o troppo debole che già c’è – è contro le donne e i giovani, in modo particolare.

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