Le archeologhe che resistono: donne che per fare il loro mestiere si devono sporcare le mani
Sono mogli, fidanzate e madri, archeologhe e educatrici, operaie e animatrici. Si chiamano Maria, Elena, Claudia e Susanna e gestiscono uno dei parchi archeologici più importanti del nord Italia, quello d’epoca neolitica di Travo nell’Appennino piacentino.
C’è un parco archeologico immerso nel verde delle valli dell’Appennino piacentino che nonostante la crisi economica e i tagli alla cultura continua a attirare il pubblico. E’ una storia fatta di fatica, di tenacia e compromessi femminili quella della piccola cooperativa archeologica Archeotravo composta da quattro giovani donne specializzate che hanno in gestione uno dei più importanti parchi del Nord Italia, una perla paesaggistica fra le colline emiliane con resti di epoca neolitica. Fra laboratori e rievocazioni storiche sono le loro invenzioni, la loro creatività e il loro spirito d’iniziativa a dare ossigeno alla cooperativa, appena a sufficienza per continuare a fare cultura in Italia oggi.
L’area del Parco Archeologico di Travo è da incorniciare. E’ una terra di vini e di salumi illustri, di valli ricoperte di vigneti e di alberi da frutta. Il villaggio neolitico ieri come oggi si trova incastonato come una gemma fra le verdi colline della Val Trebbia, solcate da un torrente limpido e balneabile. Qui, 6000 anni fa si insediò una comunità di cacciatori-raccoglitori. Era l’Età della Pietra, il Neolitico, passaggio epocale nella Storia dell’Uomo, periodo in cui l’uomo cominciava a diventare sedentario, a coltivare i campi e a allevare il bestiame. Si suppone che vigesse un sistema di divisione dei compiti: ognuno svolgeva una propria funzione all’interno della comunità e l’uomo andava specializzando le proprie mansioni.
Quel poco che sappiamo su quell’epoca, che precede di circa un millennio l’apparizione della scrittura in Mesopotamia, lo dobbiamo agli archeologi e agli archeotecnici che in base ai ritrovamenti hanno potuto ricostruire filologicamente un habitat neolitico e rappresentare il suo vissuto quotidiano.
Caratteristica principale del Parco è la conservazione in vista di parte delle strutture preistoriche messe in luce nel corso delle campagne di scavo svoltesi nell’area dal 1995 sino ad oggi. Dal 2010 sono visibili anche le ricostruzioni di alcuni edifici neolitici in scala reale, allestiti con materiali e oggetti copie di quelli realmente ritrovati in sito. E’ la combinazione fra scavi e ricostruzioni di habitat dell’epoca che conferisce al Parco tutta la sua importanza e il suo fascino. Nell’area del Parco, a fianco degli scavi, sorgono infatti due capanne neolitiche e una stalla ricostruite grazie alla perizia di archeologi e archeotecnici, chiamati anche archeologi sperimentali.
A gestire questa miniera d’oro ci sono due giovani archeologhe e due restauratrici: Maria Maffi, Susanna Gasparini, Elena Giuliani e Claudia Minuta. Vengono dalla dura gavetta delle campagne di scavo d’Emilia-Romagna. “Essere una donna e fare il lavoro di scavo non è sempre facile – dice Susanna Gasparini – le difficoltà sorgono dal primo giorno in cantiere quando ci si accorge che non è una passeggiata svuotare secchi di venti litri pieni di fango o ancora peggio di sassi”.
Il naso coperto di terra, le mani torturate dalle vesciche e le spalle da camionista alla fine della stagione di scavo. E poi muletti, cazzuole, badili e abbronzature da muratore. Sono questi gli strumenti di lavoro e la vita di una nuova generazione di archeologhe lontana anni luce dagli stereotipi maschili dell’archeologo super eroe alla Indiana Jones.
Nonostante la crisi economica la cooperativa Archeotravo, che gestisce anche il museo archeologico locale, va avanti barcamenandosi fra divulgazione classica e attività sperimentali:“Pur di sopravvivere e continuare a fare cultura abbiamo dovuto aprirci a attività non convenzionali al limite dell’accademicamente corretto”, spiega Susanna Gasparini.
Per adeguarsi al mercato e attirare il più possibile i visitatori, la cooperativa ha dovuto infatti ritoccare le sue modalità di divulgazione aprendo ad una certa spettacolarizzazione della disciplina archeologica. “Abbiamo cambiato e adattato in parte i nostri metodi di esposizione. Le sfide di un mondo globalizzato e ipercompetitivo ci hanno portato ad accettare le proposte più svariate: da quelle tradizionali a quelle più commerciali”, dichiara la giovane archeologa.
Con il festival “Preistorica” che si tiene ogni anno a giugno, il Parco di Travo ha cambiato passo trovando il modo di drammatizzare la dura vita nel Neolitico. La manifestazione si propone di animare il villaggio ricostruito con le attività che occupavano le donne e gli uomini di una comunità sviluppatasi circa 4000 anni avanti Cristo. Per coinvolgere i visitatori, le operatrici del Parco si sono inventate di tutto. Dai laboratori per l’infanzia in cui cimentarsi nelle produzioni artigianali dell’epoca alle visite guidate di notte, dalle conferenze e dai workshop specifici sulle tecnologie e le tecniche di costruzione, caccia e allevamento fino alla Living History.
La Living History è una forma di sperimentazione scientifica, un nuovo modo di concepire la visita archeologica grazie alla rievocazione storica della vita quotidiana delle popolazioni antiche. E’ una disciplina già rodata e di successo nel mondo anglosassone sin dagli anni ’80 e significa, per gli addetti ai lavori, calarsi letteralmente nei panni del personaggio che si vuole rappresentare, in questo caso un gruppo sociale preistorico, la vita comunitaria e le relazioni sociali dell’epoca.
A metà strada fra la messa in scena teatrale e la divulgazione classica, l’obiettivo è mostrare al visitatore come vivevano i nostri antenati attraverso la simulazione di varie situazioni e circostanze quotidiane: dalla preparazione e cottura degli alimenti alla cura dell’orto, dalle tecniche di scheggiatura e tessitura alla fabbricazione di vasellame e di punte di freccia in selce usate per la caccia.
Non che manchino iniziative strettamente tradizionali legate al Parco Archeologico per il pubblico più esigente e conservatore: ciclicamente si tengono conferenze di carattere regionale e nazionale sulle abitudini delle comunità neolitiche. Ma è attraverso la Living history e la rievocazione storica che il Parco Archeologico di Travo riesce ad attirare più pubblico e a fornire vari gradi di approccio alla materia a seconda del target del visitatore:”Qui vengono studenti in cerca di materiale per la tesi, dottorandi e ricercatori con pubblicazioni universitarie alle spalle ma anche famiglie a fare il picnic e trascorrere un pomeriggio di sole in collina”
Un archeologo, oggi, fa di tutto. Scava e analizza i ritrovamenti, e se serve si traveste e intrattiene il pubblico. Cosi le archeologhe del Parco vestono i panni delle animatrici e delle educatrici se devono condurre visite guidate a scolaresche.
E’ un lavoro, quello dell’archeologa oggi, universale e multisettoriale: una preparazione a 360 gradi in cui non si tratta solo di diffondere la storia e la cultura di popoli remoti ma anche di trasmettere una passione che malgrado le ristrettezze economiche rimane intatta.
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