Maria Teresa Ferrari: cappelli ad arte, la Bellezza contro il Male. Intervista
Donne e Impresa. Maria Teresa Ferrari ha creato i cappelli ad arte per non arrendersi. Il suo progetto #lacurasonoio è sostenuto dallo IEO di Veronesi. Un messaggio di speranza per le donne che lottano contro il cancro.

Maria Teresa Ferrari è una giornalista coraggiosa, dinamica e raggiante, che lotta da anni contro il cancro. Le sue collezioni di cappelli adatti a tutte le donne, anche quelle che hanno vissuto l’inferno della chemioterapia, sono un incentivo a combattere.
Ho incontrato il suo sorriso disarmante proprio qui a Parigi, in una deliziosa galleria della Rive Gauche. A presentarmela un carissimo amico gallerista che di tanto in tanto organizza mostre nella Ville Lumière. Ed è tra i tanti aneddoti legati al suo amato Dino Buzzati ed un paio di deliziose tavole regionali, che abbiamo avuto il piacere di ritrovarci per parlare dei suoi cappelli ad arte, un progetto nato a Milano, nelle corsie dello IEO (Istituto Europeo di Oncologia).
In un limbo di chiaroscuri, la necessità di non perdersi nell’abisso del cancro, ha incontrato il suo leggendario buon gusto e si è fatta oggetto. Una vera e propria linea di copricapi eleganti, estrosi e colorati, nati per portare un pizzico di brio nel difficile quotidiano di chi lotta contro la malattia.
La sua risposta energica è un grande esempio di vita.
La storia di Maria Teresa Ferrari

La forza che ti contraddistingue è sconfinata e coinvolgente. “La cura sono io” il tuo motto da subito. Come hai trasformato un percorso di lotta personale in una bella avventura imprenditoriale?
È proprio il caso di dire che mi sono fatta trasportare dagli avvenimenti. Quando ho scoperto che dopo l’intervento avrei dovuto sottopormi alle pesanti terapie oncologiche, mi sono per così dire “attrezzata”. L’ho fatto scientemente. Partendo dai capelli che, come sappiamo, è per noi donne un argomento che ci sta particolarmente a cuore. Ma non solo. Mi sono fatta una parrucca di capelli naturali in vista della caduta, ma volevo alternarla a dei copricapi un po’ sfiziosi. È allora che mi sono accorta di quanta poca considerazione avesse, nel campo della moda, il copricapo oncologico e così mi è venuto il desiderio di fare una collezione che mi permettesse di giocare col mio look. Non volevo nascondermi sotto un cappello!
Femminilità e dignità sono due parole che si fanno eco nei tuoi cappelli ad arte. Simboli di una vita che, ostinata e magnifica, continua ad opporsi al dolore. Come la vivi ogni giorno? Quali spinte ti animano?
È vero mi sono detta da subito che avrei fatto di tutto per difendere la mia femminilità. Ed è stato bello riscoprirla ogni giorno. A partire dal trucco che ho sempre mantenuto; nelle giornate più difficili, non rinuncio a un tocco di rossetto. Ho avuto la fortuna di incontrare subito le estetiste oncologiche APEO e quindi di scoprire i prodotti idonei per ogni momento delle cure, oltre ad essere supportata dalle loro cure estetiche e dai preziosi consigli. Ho sempre scelto con amore gli abiti da indossare anche quando andavo a fare chemioterapia. Per me significava “non lasciarmi andare”, mantenere sempre e comunque la propria dignità. Quando si sta male la tentazione di trascurarsi è fortissima, ma, a mio avviso, peggiora le cose, lo stato d’animo. Volersi bene è fondamentale e vedersi sempre curati fa bene anche allo spirito! E così ogni giorno mi reinvento.
La determinazione consapevole di chi affronta il male con un’incredibile dose di energia è una caratteristica che si ritrova in molte imprenditrici di successo. Quando e come hai deciso di lanciarti nell’avventura?
Quando ho capito che ormai non potevo più tornare indietro. Da subito mi sono imposta di non lasciarmi andare, di non permettere alla malattia di rubarmi il sorriso, ma di trasformare quello che stavo vivendo in opportunità. Non ho mai vissuto il mio cancro come qualcosa da combattere, bensì come un ospite inatteso da accettare per comprendere il messaggio di cui era portatore. So che non è facile “comprendere” questo atteggiamento, ma per me era innato. E i medici, intuendolo, mi invitavano a testimoniare. La nuova avventura ha coinvolto tanti settori, non riguardava solo i copricapi che stavano nascendo dalla mia esperienza, ma anche tutti quegli ambiti professionali in cui mi ero formata in trent’anni di lavoro. Mi rendevo conto che stavo accorpando le mie diverse esperienze in un nuovo progetto che potesse aiutare le persone, non solo a combattere la malattia partendo da se stessi, ma anche a stare meglio aiutandosi con accorgimenti estetici, con la “bellezza” intesa nel senso più ampio del termine e le arti. I copricapi, che ben presto ho battezzato “cappelli ad arte”, erano il mezzo che mi permetteva di avvicinare tante donne e supportarle con una parola, un consiglio… Volevo portare un sorriso, un messaggio di speranza a chi era chiuso nel proprio dolore.
Un coraggio che si appoggia su un trascorso difficile, ma affrontato con leggerezza. Come strutturi la tua presenza al fianco di chi soffre? Qual è il tuo segreto per illuminare la giornata di chi si batte come te contro il cancro? Sei riuscita a trasferire questo atteggiamento positivo nei tuoi cappelli attraverso un’attenta comunicazione. Le community online che animi sono una fonte di ispirazione?
Hai detto bene “un trascorso difficile”. Le difficoltà nella mia vita non sono mai mancate, come le soddisfazioni, e forse è per questo che il cancro non mi ha depauperata della mia positività. Fin dall’inizio di quest’avventura, tenevo su facebook una sorta di diario e naturalmente, oltre a tantissimi amici, hanno iniziato a seguirmi donne con i miei stessi problemi. Solo più tardi ho compreso che l’ottimismo con cui salutavo il nuovo giorno – uno sguardo positivo verso la vita, una fotografia con un paesaggio particolarmente bello, il mio sorriso – aiutava tante persone, e non solo quelle malate. Dico sempre che Facebook è diventata la mia grande famiglia; è potente nelle storie di aiuto e solidarietà. Volevo che i miei cappelli trasferissero questo messaggio positivo: esaltando la femminilità al posto di nasconderla. Sembra un tabù parlare di bellezza mentre ti stai curando con la chemioterapia, ma io l’ho trasformata in risorsa. Una risorsa rivoluzionaria.
Freelance e imprenditrice di te stessa. Come concili la tua professione da giornalista con i mille impegni che assorbono chi decide di montare un progetto?
In realtà ho convogliato le mie diverse competenze nel progetto “La Cura Sono Io”, oggi associazione culturale. Mi è venuto naturale. Scrittura, comunicazione, pubbliche relazioni, arte, cultura e tanto altro ancora sono entrati a far parte di questa start up e dei tanti progetti che voglio portare avanti. Uno su tutti, in programma nei prossimi mesi, riguarda “le parole che curano”, un argomento importantissimo ma ancora tanto sottovalutato. La malattia, quella tumorale in particolare, cambia il nostro modo di vivere, ci induce a guardare alle cose essenziali, a parlare delle nostre emozioni con persone capaci di una umana e profonda partecipazione al dolore.
Collaboro ancora per alcuni giornali, ho in cantiere delle pubblicazioni, degli eventi culturali, legati al mio amato Buzzati e ad altri artisti, ma tra i cappelli ad arte, il sito nato da poco – che, oltre ad avere lo shop solidale, vuole essere anche un contenitore di idee, consigli, riflessioni – e un sogno che spero di riuscire a realizzare presto (tenere una rubrica legata a “La Cura Sono Io” su un media nazionale), non rimane molto tempo per altro.
Costruire per rinascere. Quanto è importante affrontare la malattia preparando attentamente il dopo?
All’inizio vivi la giornata, non puoi fare altro visti la sofferenza, il dolore fisico, l’incertezza che hai del futuro. Sei concentrata al massimo sulle cure. Ammetto che io sono andata molto controcorrente. Sono stata operata ad agosto e avevo ancora consulenze in atto, libri da consegnare, e così mi sono ritrovata ad affrontare i primi cicli di chemio, i più tosti, “le rosse” per capirci, lavorando con gli stessi ritmi di prima. Sono riuscita a tener fede a tutti i miei impegni, ma sinceramente non so come ho fatto. Forse grazie alla tempra e all’abbondante energia che mi hanno sempre caratterizzato e a un sostegno che è stato fondamentale: la fede. Mi sono “affidata” in tutto e la Provvidenza ha sempre sistemato le cose. Poi, ho allentato il lavoro, ho abbandonato quelle consulenze che non avrei più potuto sostenere ed è stato allora che ho iniziato, senza accorgermene, a costruire il dopo. Da un lato si è fatta avanti la creatività, concretizzatasi con i miei #copripensieri, ma anche con l’arte che abbino sempre alle mie testimonianze, poi il desiderio di fare qualcosa per gli altri aiutandoli a potenziare le risorse che ognuno ha dentro. Ho allentato il controllo della testa per far parlare il cuore. E ogni giorno i doni arrivano.
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