Cosmetici naturali e privi di sostanze “inutili”, uniti a una politica aziendale fondata sulla trasparenza e sulla comunicazione. Questi i punti di forza di Bakel. Abbiamo intervistato la fondatrice Raffaella Gregoris
Dal 1998 Raffaella Gregoris lavora a Bakel, azienda di cosmetici che ha puntato tutto su standard di qualità estremamente elevati e una politica di comunicazione trasparente con il consumatore. Abbiamo parlato con lei del concetto di naturale nel settore cosmetico e non solo, di sperimentazione sugli animali e di fare impresa in Italia.
Com’è nata l’azienda Bakel? C’è stato un preciso momento in cui ha fatto il salto di qualità?
Dopo essermi laureata alla Facoltà di Farmacia di Milano e aver frequentato un master in “Chimica dei prodotti cosmetici” , nel 1998 decido di fondare Bakel come società di consulenza. Inizio a collaborare con vari laboratori e nel 2008 presento al Cosmoprof i primi prodotti a marchio Bakel. L’idea è quella di formulare un prodotto che contenga solo sostanze in grado di venire assorbite attraverso la cute e di apportare benefici scientificamente dimostrabili: da qui nasce il claim “100% principi attivi, 0 sostanze inutili”. Bakel si presenta con 6 sieri e mi rendo subito conto che l’idea funziona e che è molto innovativa rispetto a ciò che c’è sul mercato. Il salto di qualità lo abbiamo fatto a fine del 2014, quando con l’entrata del nuovo Amministratore Delegato , l’azienda si è strutturata in maniera più manageriale.
Voi definite molte delle sostanze utilizzate per questi prodotti (es. conservanti) “inutili”.Ma allora perché altre aziende le usano?
“Inutili” nel claim di Bakel si riferisce a tutte quelle sostanze che servono al prodotto e non a dare un reale beneficio alla pelle.
Formulare in questo modo significa mettersi dei limiti enormi che aumentano significativamente i costi di produzione.
Per citare un esempio anche noi conserviamo i prodotti ma lo facciamo in maniera diversa. Usiamo delle sostanze con un effetto emolliente che sono alternative alla classe V, sterilizziamo i contenitori, usiamo packaging airless e siamo costretti a mettere una data di scadenza perché è impensabile che un prodotto Bakel rimanga inalterato per più di 36 mesi. “Inutili” per noi sono i coloranti,( non ci interessa che un prodotto abbia un colore specifico o che sia appagante per la vista), o ancora il profumo che sostituiamo con degli oli essenziali ad azione anti-età. Ancora in alternativa agli emulsionanti utilizziamo dei derivati dell’olio di oliva con un’azione antiossidante e emolliente.
I siliconi danno delle texture bellissime e allungano la vita del prodotto, rispetto all’utilizzo di oli e burri vegetali, ma non sono in grado di dare un beneficio alla pelle, anzi sono comedogenici e promuovono l’ispessimento e la secchezza cutanea. Potrei fare ancora molti esempi, ma in sostanza se un ingrediente non è in grado di dare un beneficio alla pelle, noi cerchiamo delle soluzioni alternative.
Ritengo che le altre aziende utilizzino questi ingredienti per allungare la vita del prodotto, avere un prodotto stabile e che sia appagante per l’olfatto e per la vista e alla fine tutto si riduce ad una questione di costi. La chimica è una materia sconosciuta ai più e oggi per vendere un prodotto cosmetico basta “vestirlo bene” e investire in marketing e pubblicità: il consumatore nella maggior parte dei casi non è interessato a leggere la lista ingredienti e quindi le aziende possono vendergli quello che vogliono con enormi profitti puntando tutto sull’immagine e l’appagamento dei sensi. Vi siete mai chiesti perché la maggior parte dei cosmetici non riportino la data di scadenza? Dal mio punto di vista già questa sarebbe una motivazione sufficiente per non acquistarli.
Bakel inoltre è anche vegan:quella di non utilizzare derivati animali è una scelta puramente etica?
E’ sicuramente una scelta etica, ma è anche una scelta di efficacia.
I derivati animali sono materie prime che arrivano già cariche di conservanti per ovvie ragioni, nella maggior parte dei casi sono molecole troppo grandi e non in grado di venire assorbite attraverso la cute, possono spesso causare allergie. Preferisco gli attivi di derivazione biotecnologica o i derivati vegetali. Le materie prime di origine animale sono molte, ma in generale confrontando le schede tecniche di efficacia ho sempre trovato attivi biotecnologici capaci di dare effetti migliori.
C’è molta concorrenza con prodotti che si dicono cruelty free ma che in realtà non lo sono e costano meno?
La certificazione ufficiale “Cruelty Free” è un iter molto complesso che costringe l’azienda a sottoporsi a dei severi controlli su tutto il ciclo produttivo e su quello di ogni singola materia prima, oltre alla rinuncia a vendere in paesi dove i prodotti cosmetici devono essere ufficialmente testati sugli animali per essere venduti (ad esempio la Cina). In Italia questa certificazione è rilasciata dalla LAV (Lega Antivivisezione) che si avvale di ICEA per i controlli e gli audit.
Bakel ci ha messo quasi due anni ad ottenerla ed è l’azienda numero 45 ad averla ottenuta. E’ costosa , faticosa e rallenta il lancio di qualsiasi nuovo prodotto.
Tale certificazione si riconosce solo ed esclusivamente dalla presenza sulle confezione di un coniglietto con due archi e due stelline e con la dicitura corrispondente che riporta anche il numero al di sotto del simbolo.
Purtroppo molte azienda utilizzano dei simboli che rappresentano dei conigli che non hanno nessun valore e il consumatore non ha ancora imparato a riconoscere il simbolo del coniglietto europeo che rappresenta l’unica garanzia reale di acquistare un prodotto garantito Cruelty Free.
Ad esempio ho visto aziende che si autocertificano Cruelty Free e Vegan utilizzando semplicemente il coniglietto della PETA (Products for Ethycal Treatments of Animals) che si ottiene facendone richiesta tramite autocertificazione negli USA, ma senza sottoporsi a nessun controllo in Europa (e tantomeno in USA dove magari neanche vendono). Insomma sfruttano, concedetemi il termine “l’ignoranza “ del consuamtore in materia. Con questa scorciatoia alcune aziende, evitano di sottoporsi a qualsiasi controllo e non devono sostenere nessun costo: la garanzia per il consumatore di comprare un prodotto Cruelty Free è, in questo caso, un puro atto di fiducia
Da poco mi è capitato un episodio che mi ha colpito. Avevo scelto un packaging airless per un nuovo prodotto, stavamo già per inviare l’ordine al fornitore, ma quando abbiamo richiesto tutta la documentazione necessaria per aderire allo standard della LAV, abbiamo scoperto che tale packaging conteneva un derivato animale.
Ovviamente abbiamo deciso di cambiare fornitore. Se non seguissi gli iter severi imposti dalla LAV non avrei mai scoperto che quel packaging conteneva nella plastica dei derivati animali. Non avevo idea che un packaging potesse contenere dei derivati animali! Dopo questa esperienza sono ancora più convinta che questa certificazione sia davvero una garanzia per il consumatore.
Negli ultimi anni il concetto di “naturale” viene utilizzato molto nel marketing e nella pubblicità. Voi questo lo vedete come un bene o come un male?
Lo vedo come un male, perché di nuovo parliamo solo di marketing. Questa parola da un punto di vista legale non è normata, e quindi chiunque può apporla su qualsiasi tipo di prodotto. Il mercato è pieno di prodotti cosmetici definiti naturali o addirittura che riportano la dicitura “bio” e che nella realtà di naturale non contengono proprio nulla.
Creme, detergenti, sieri e i cosmetici più disparati che vengono definiti naturali ma che nella realtà sono prevalentemente formulati a base di petrolchimica, siliconi o acrylati, riempiono gli scaffali dei più diversi punti vendita. Anche la tipologia del punto vendita non garantisce in questo senso il consumatore.
Prodotti che si definiscono naturali, e non lo sono, riempiono enormi spazi nelle profumerie, nella erboristerie, nelle farmacie o nei supermercati. L’unico modo che il consumatore ha per poter scegliere un prodotto davvero naturale è quello di imparare a leggere le liste ingredienti.
Bakel si definisce anche 100% italiano. E’ difficile lavorare in Italia? Quali sono le principali difficoltà per un’azienda come la vostra nel lavorare nel nostro paese?
A dire la verità in questo mi sento un po’ contro tendenza, perché non ho trovato e non trovo grandi difficoltà a lavorare in Italia. Anzi proprio in questo Paese ho trovato la tecnologia più avanzata e la qualità migliore dei fornitori di cui mi avvalgo per poter puntare su un concetto così semplice a parole, ma così difficile da realizzare da un punto di vista tecnico. Bakel ha ricevuto in passato un finanziamento regionale che ci ha permesso di sostenere gli ingenti costi di ricerca che ci hanno portato anche al deposito della richiesta di due brevetti. Lavoro con molti ragazzi giovani pieni di entusiasmo e di creatività tutta Italiana.
La stampa Italiana mi ha sostenuto e aiutato moltissimo, pur essendo una piccola azienda che non ha potuto investire in pubblicità dati gli elevati costi della ricerca, non la ringrazierò mai abbastanza per questo sostegno, e lo ha fatto anche quando Bakel era totalmente sconosciuta.
Inoltre è il primo paese per fatturato e quindi non posso che ringraziare anche i nostri consumatori per aver fatto quel passo in avanti per diventare dei consumatori più consapevoli, la nostra non è una cosmetica emozionale e non si compra perché il packaging è accattivante. La profumeria artistica che è il canale dove vendiamo è una realtà tutta Italiana unica e meravigliosa, concepita da veri professionisti che non si accontentano di ciò che gli dice il marketing ma che anche scelgono in maniera consapevole.
E’ ovvio che anche in Italia ci sarebbero molti aspetti che potrebbero essere migliorati, soprattutto per la tassazione delle piccole e medie imprese che non riescono spesso a investire nella crescita a causa del forte carico fiscale, o ancora, una legge sui cosmetici che dal mio punto di vista è piena di lacune e non tutela, come invece dovrebbe, il consumatore, ma il bilancio per me rimane sempre e comunque positivo.
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