Intervista a Simona Scapin, giovane imprenditrice bolognese nel settore dei salumi, cosa fa? Mortadelle artigianali di qualità.
Simona Scapin è una giovane e dinamica imprenditrice bolognese, fondatrice di artigianquality, un’azienda che porta avanti con modernità (e un bel tocco biologico che non guasta mai), la produzione di mortadelle artigianali che ha reso famosa la sua famiglia nel capoluogo emiliano. Un cognome di origine veneta e tanta determinazione.
A guidare i passi di Simona nel mondo degli insaccati di qualità, la mano del padre Silvio, l’ultimo artigiano della mortadella tradizionale rimasto a Bologna. Da Artigianquality lavorano ben quattro membri dell’entourage di Simona, una storia familiare, da annusare e da assaggiare nel punto vendita di Via Santo Stefano (civico 88).
Ci siamo incontrate l’anno scorso al Festival Cultural Paris e mi ha stregato con i suoi racconti popolati da personaggi straordinari, da materie prime italiane scelte con cura e cotture lente Slow Food. Una storia di terra e di passione che non vedo l’ora di raccontarvi. Lasciamo la parola a questa giovane manager che ha trasformato la bottega artigiana in vero e proprio ‘antro delle delizie contemporaneo’.
Innovare nel solco della tradizione. Qual è la tua ricetta per guardare al futuro preservando un sapere che si trasmette di generazione in generazione?
La mia storia nasce proprio dal ‘saper fare’ del papà. Il mio papà è cresciuto ‘facendo la gavetta’, in un continuo provare e riprovare per avere un prodotto più sano e genuino possibile. Sbagliando e sostenendo strenuamente la filosofia che dagli errori si impara e si imparano davvero tante cose, sia sul prodotto che sul commercio. Il suo esempio mi ha aiutato tantissimo nel tracciare la mia strada. Ho sempre pensato che partire dalla base fosse fondamentale. Non è un caso se ho sempre preferito cominciare in sordina, curando nei minimi dettagli le materie prime e cercando pian piano di proporre alla clientela prodotti artigianali sempre più vicini a questo sentire. L’insegnamento più importante di mio padre è che ci si può rinnovare costantemente. Che non c’è limite all’innovazione se si ha sempre ben presente chi siamo, da dove veniamo e cosa stiamo facendo.
Prodotti d’eccellenza e tanta attenzione, due concetti-chiave di Artigianquality. Qual è la strada da tracciare per un artigianato contemporaneo che sia competitivo e al passo con i tempi?
La strada è quella che abbiamo già intravisto e passa per la costante ricerca delle migliori materie prime. Noi lavoriamo solo le carni provenienti da tre allevamenti selezionati: due allo stato semi-brado di cui uno di derivazione biologica, e uno allo stato brado, razza di suini mora romagnola. Scegliamo personalmente le carni del maiale da lavorare, perché la nostra tradizione deriva dalle competenze del mio papà, che fa il macellaio da quando aveva dodici anni. Mi ha insegnato a selezionare le carni e a prediligere quelle provenienti da animali allevati allo stato brado e semi-brado perché il benessere dell’animale è fondamentale. Nel nostro laboratorio non voglio vedere carne estera, carne congelata e carne che arrivi da allevamenti intensivi.
L’importanza della tenacia personale e dell’esempio ricevuto. Quali sono le tappe del tuo percorso di formazione e come sei riuscita a farti spazio in un settore duro e ancora poco femminile?
Le tappe della mia formazione sono un po’ ‘strane’. Sono nata nel 1987, ho studiato al Liceo Classico e volevo diventare ostetrica. Il caso ha voluto che la data del test per entrare nel corso di ostetricia coincidesse con l’apertura del negozio di famiglia dodici anni fa. Si è trattato di un svolta, mi piace immaginare questo momento come una delle ‘sliding doors’ della mia vita. Ho iniziato a lavorare in macelleria rosticceria con i miei genitori e tutt’ora ci lavoro. Seguo l’azienda dal lunedì al venerdì e, se il sabato non sono in giro per l’Italia o all’estero per fiere, degustazioni e supporto ai clienti, mi trovate in negozio. È lì che è nata la mia passione, perché tutto ciò che trovate nel punto vendita lo prepariamo noi, ‘dalla a alla zeta’. Ho sempre lavorato in cucina con la mia mamma. Adoro prepare da mangiare, e mi diletto con le lasagne, i tortellini, gli sformati, le tagliatelle, la pasta e fagioli, e qualsiasi altra cosa mi venga in mente.
Vendere ciò che si è preparato con le proprie mani ad una clientela così entusiasta, dà una carica incredibile. Quando poi il Presidio Slow Food ci ha voluti riconoscere come presidio appunto, nella lavorazione della mortadella, e dopo aver partecipato a quella che per noi è stata la prima fiera in assoluto, quella del Salone Del Gusto Terra Madre, data la risposta così incessante del pubblico, abbiamo deciso di aprire un laboratorio artigianale. Abbiamo ancora il negozio, del quale si occupano i miei genitori e mio fratello, mentre io mi dedico completamente all’ azienda.
Senza il punto vendita sarebbero tutti con me, ma per una serie di coincidenze mi son trovata sola a gestire la parte aziendale ma è fondamentale l’appoggio della mia famiglia in quest’avventura. Ogni decisione è collegiale e condivisa. Essere donna in questo settore ha reso ancora più importante questa prossimità. Volevo scardinare quel pensiero ricorrente che le persone hanno nel guardarmi, quando si dicono: “sì è carina, è la solita biondina e non avrà niente da dire”. In realtà ho una lunga tradizione alle spalle e mi porto dietro tutto quello che i miei genitori mi hanno insegnato, quindi è molto importante mettermi in gioco per far cadere questo tipo di cliché. Quando hai voglia di fare e sai esattamente quel che stai facendo perché lo curi personalmente, fai vedere agli altri chi sei ed è molto importante perché mi da possibilità di farmi conoscere e valere su ogni tipo di mercato, italiano o estero. Essere riconosciuta come donna imprenditrice e non come la solita ‘bella che non balla’, è per me fondamentale.
I prodotti finiti Artigianquality nascono da carne italiana e biologica. Una scelta che implica un rapporto diretto e un’accurata selezione dei fornitori. Quali sono le direttrici che ti guidano in tal senso?
Sono le direttrici del mio papà. La cosa più bella è proprio il rapporto diretto con i nostri fornitori. Ad esempio per la città di Bologna abbiamo tre allevatori che sono tutti in provincia, in una filosofia quasi a chilometro zero. Macellano il lunedì e ci portano la carne fresca il mercoledì. Vedere dove vivono questi maiali, sapere quel che mangiano e che sono liberi di fare quel che hanno voglia di fare, che non sono chiusi nei recinti. Essere testimoni della cura che il produttore stesso mette nell’allevarli, della sua attenzione al benessere dell’animale, è fondamentale. Bisogna vedere, perché un conto è sapere, altro è metterci le mani e poter raccontare questa bella storia anche ai clienti.
La mortadella classica che producete segue il disciplinare del Presidio Slow Food ed è frutto di una lavorazione lenta e accurata. Qual è la vostra filosofia di produzione riguardo ad un monumento alimentare italiano così industrialmente vilipeso altrove?
La nostra filosofia risiede nell’assidua ricerca della tradizione. Essere presidio Slow Food è un plus, un riconoscimento di una lavorazione ‘fatta come una volta’ del quale siamo molto fieri. Oltre il presidio, resta la nostra filosofia. Nel mondo il 99,9% delle mortadelle è industriale e i produttori industriali utilizzano la denominazione o la descrizione “artigianale” come fattore di comunicazione. Noi invece, siamo artigiani veri e siamo alla costante ricerca del lavorare in qualità non in quantità. Sono l’ultima artigiana rimasta a fare le mortadelle nella città di Bologna. Per noi è importante restare nel solco di questa tradizione e rispettare i canoni della lavorazione artigianale. Lavoriamo solo carne fresca, senza nessun sottoprodotto come trippini, cotenne, emulsioni di cotenna, ghiaccio emulsionato o idrogenato.
Senza tali aggiunte non abbiamo bisogno di chimiche di supporto, ed è per tale ragione che i nostri prodotti sono privi di polifosfati, latte, lattosio, derivati del latte, farine, carragenine, glutammato monosodico. Nessun tipo di aggiunta chimica che esalti il gusto e il sapore. Ed è per questo che il benessere dell’animale è fondamentale. Dobbiamo vedere e toccare con mano le carni crude e fresche per poter elaborare al meglio i nostri prodotti.
Siamo gli unici a lavorare con cotture che variano dalle ventiquattro alle ventotto ore. Abbiamo scelto delle lunghe cotture perché è in questo lasso di tempo importante che la carne diventa la sola protagonista del gusto. Si ottiene una mortadella diversa, particolare. Una mortadella artigianale. Per la clientela può essere spiazzante all’inizio. Non tutti sono pronti a capirla e può esserci un iniziale disappunto. Il prodotto che si ottiene è particolare ed ha un aroma caratteristico. Una delle critiche che mi rivolgono più spesso riguarda proprio il profumo.
Molti mi dicono che la mia mortadella è poco profumata. In realtà facendo un panel test e mettendo al confronto la mortadella Artigianquality con una mortadella top di gamma industriale, si sentirà molto più profumo nella mia, ma è un profumo diverso da quello a cui molti sono abituati, un odore formato da basi chimiche volatili che ha formattato il gusto. Nel panorama della mortadella artigianale a Bologna c’eravamo solo noi ed il maestro Ennio Pasquini, che è venuto a mancare l’anno scorso. La figlia Carla ha deciso di chiudere lo stabilimento a novembre e da allora siamo rimasti i soli a produrre mortadella artigianale a Bologna. Tutto il resto è industriale. C’è una parte di responsabilità nella trasmissione di questo savoir-faire di qualità. Io non faccio solo mortadella, ma cerco di tenere alta una bandiera, quella dell’artigianato.
La preservazione del salame rosa, un punto d’onore che sottolinea il legame con il territorio. Quanto e come il tuo lavoro è indissolubilmente legato alla città di Bologna?
Partiamo da un fatto emblematico. Il salame rosa è un prodotto tipico bolognese, che gli stessi bolognesi a Bologna non conoscono. Si tratta dell’antenato della mortadella popolare. L’antico metodo di produzione che veniva utilizzato quando non esistevano quei macchinari atti a tritare finemente gli ingredienti della carne. I salaioli tagliavano a punta di coltello tutte le parti anatomiche del maiale che poi venivano insaccate, cotte e proposte alla consumazione. Perché in origine la mortadella era un prodotto destinato a poche tavole, come quelle dei papi e dei sovrani. Il processo di produzione della mortadella era talmente lungo e laborioso che solo alcuni palati potevano permettersi di gustarla.
Gli altri strati sociali consumavano il prosciutto e il salame rosa. La tradizione del salame rosa si è persa anche in seguito alla pubblicazione della ricetta della mortadella nel Libro novo Cristoforo Messisburgo, una tappa che svelandone gli ingredienti e le istruzioni di preparazione, ha reso la mortadella democratica. Ci colleghiamo alla storiella della mortadella d’asino. Si dice che il Re di Spagna Ferdinando II fosse talmente goloso di mortadella da arrivare ad inviare un messo, una specie di giornalista-investigatore dell’epoca, per carpire i segreti di produzione dei salaioli bolognesi, che si presero gioco di lui raccontando di utilizzare carne d’asino per produrre il pregiato salume. Un’eventualità peraltro ampiamente smentita dalla scarsa presenza di asini nel bolognese, dove sono riservati unicamente al trasporto. Un aneddoto che ci permette di cogliere l’attenzione catalizzata da tale tipo di prodotto già in passato.
L’Italia che piace, come viene accolto il tuo prodotto? Ti senti un’ambasciatrice del nostro paese all’estero?
Più che un’ambasciatrice italiana, cerco di sentirmi (e di essere) un’ambasciatrice della città di Bologna.
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