Dalle hipster musulmane fino all’hijab porn: tendenze e moda islamica in Occidente
Quello della moda islamica è un settore in costante crescita. Dalle fashonistas in hijab, ai concorsi di bellezza islamici a Mia Khalifa, star del “Hijab Porn”, passando per le Mipsterz, le musulmani hipster. Vediamo le nuove tendenze che influenzano le donne musulmane d’Occidente e, veceversa, di come la cultura islamica abbia inciso nella moda e nei nostri costumi contemporanei.
Non è raro imbattersi in ragazze musulmane osservanti ultra accessoriate. Coperte dall’hijab, il velo islamico, concentrano la loro cura sul viso, sull’abbigliamento e sui particolari: la borsetta griffata, le scarpe alla moda, gli occhiali da sole extra large, gli orecchini brillanti, l’ultimo modello di I-Phone.
Benvenuti nel mondo dei dettagli. Delle fashion bloggers, delle hijabistas, le fashonistas in hijab, e delle Mipsterz, la versione islamica del fenomeno hipster. E’ un mondo di donne prevalentemente: giovani musulmane di seconda o terza generazione che popolano le grandi metropoli occidentali. Fra queste, Londra è sicuramente la città che esprime (da sempre) le tendenze giovanili più eterodosse, capitale e centro di smistamento delle mode del mondo. I primi blog di moda islamica sono emersi in rete all’inizio di questa decade. Non che la bellezza non sia riconosciuta o valorizzata nei paesi musulmani. Due esempi su tutti: il concorso di Miss Mondo Musulmano e il giro d’affari dell’alta moda islamica contemporanea.
Requisiti: indossare l’hijab e saper recitare il Corano
Miss Mondo Musulmano è la risposta islamica ai concorsi di bellezza occidentali. Si svolge ogni anno a Giacarta, in Indonesia, il paese islamico più popoloso al mondo. E’ un concorso di bellezza a tutti gli effetti tuttavia la selezione delle ragazze avviene in base a criteri religiosi. Per parteciparvi è obbligatorio indossare l’hijab ed essere in grado di recitare il Corano. Le foto delle candidate devono essere “conformi nell’abbigliamento agli standard musulmani”, i vestiti devono coprire le forme del corpo e “il velo deve essere lungo a sufficienza da celare oltre ai capelli anche le orecchie, il collo e il petto.
Le pose devono essere eleganti, valorizziamo prima di tutto la modestia”, si legge nel sito ufficiale. Le aspiranti Miss devono dimostrare di possedere le qualità morali della donna musulmana devota e praticante. Anche il primo premio non lascia dubbi circa l’impronta islamo-popolare del concorso: la vincitrice della kermesse viene infatti premiata con un soggiorno alla Mecca. Il sacro viaggio del pellegrinaggio come premio di un concorso in cui la modestia e l’impegno religioso valgono quanto la bellezza.
La moda islamica: un’industria in crescita
Ci sono poi i numeri da capogiro della moda islamica, un’industria in costante crescita. Secondo un recente studio condotto dalla Camera di Commercio e dall’associazione degli industriali di Dubai, negli Emirari Ababi Uniti, il giro d’affari della moda islamica arriverà a toccare i 322miliardi di dollari entro il 2018. Si tratta del secondo mercato mondiale dopo gli Stati Uniti (circa 500miliardi di dollari).
Ma torniamo a Londra. Nella capitale della sovrapposizione delle tendenze, abita Dina Torkia, la hijabista più famosa del Regno Unito. Metà britannica e metà egiziana, la ventiseienne Dina Torkia ha aperto un blog tre anni fa (www.daysofdoll.com) in cui si occupa di moda islamica moderna e attraverso il quale tenta di restituire un’idea nuova della donna musulmana. Da allora ha usato il nome d’arte di Dina Tokio. “Moda e Islam non sono in contraddizione – spiega – è possibile essere una buona musulmana e amare le tendenze moderne, io penso soprattutto a inventarmi ogni giorno un modo di vestire che sia smart, comodo e elegante e allo stesso tempo conforme agli standard islamici femminili di sobrietà e decoro”.
Lo smalto rosso è proibito, troppo sessuale
Le foto del blog Days of Doll ritraggono la giovane in mises urbane e casual con varie combinazioni di hijab e una cura quasi maniacale del dettaglio: dallo smalto rigorosamente nero (il rosso è un colore troppo legato alla sfera sessuale) ai lunghi impermeabili molto british sotto i quali portare jeans skinny super aderenti e sneakers adidas. Molto attiva sui social media: il suo profilo Instagram ha 420mila followers, i video del suo canale youtube viaggiano ad una media di 30mila visioni ciascuno. Ha recentemente lanciato la sua propria collezione di moda, una linea di hijab, in collaborazione con la Liberty, una fashion house londinese e la BBC l’ha reclutata come opinionista del concorso Miss Mondo Musulmano.
La passione per la moda e le sorprendenti contaminazioni estetico-culturali che essa inevitabilmente provoca nei figli dei musulmani immigrati in Europa ha generato una sottocultura urbana chiamata “Mipsterz”. E’ la versione islamica degli hipster, una tendenza in prevalenza femminile che coniuga l’estro individuale al rispetto della tradizione comunitaria. Non si tratta infatti di scoprire il corpo ma di liberarsi come meglio si può e si crede “dell’uniforme del velo” che tutto omologa. E questo perché l’hijab ha come complemento il jilbab, un ampio abito di colore scuro lungo fino alle caviglie che molte ragazze musulmane di seconda e terza generazione non accettano di portare al di fuori delle feste religiose.
Per le Mipsterz è una ricerca moderna all’autoaffermazione personale che, per quanto eccentrica, rientra sempre nel quadro del rispetto delle norme islamiche. Così a Parigi, Berlino, Londra e Milano non è raro incontrare giovani musulmane velate ma con le montature di occhiali beat, truccate finemente, con i jeans lisi ma non strappati, le adidas o le converse all-star ai piedi. Non si tratta di togliere, quindi, ma di aggiungere. “Siamo alla ricerca di una femminilità che dobbiamo conquistare ogni giorno tenendo conto della nostra cultura d’origine e di un mondo unisex che ci circonda”, scrive una blogger di origine egiziana trapiantata a Copenhagen.
E’ dunque molto più dura essere creativi in un cortile angusto con meno variazioni sul tema che non nell’arena del consumismo sregolato attuale con milioni di opzioni da combinare senza il peso dell’etica religiosa che nei paesi musulmani è inscindibile dall’etica tout court.
Di grande tendenza è anche il porno di Mia Khalifa
E mentre in Occidente ci si spinge sempre oltre alla ricerca di nuovi feticci che incidano sulla cultura di massa, senza che nessuno se ne accorgesse, il tema dell’hijab è approdato nell’ultimo posto in cui pensavamo di trovarlo: nell’industria del cinema per adulti. Un capitolo a parte infatti merita Mia Khalifa, stella del porno in ascesa, assurta alle cronache mondiali qualche mese fa.
La Khalifa è una ragazza di 22 anni, di origine libanese e cresciuta negli Stati Uniti, che ha partecipato come attrice in un film pornografico indossando l’hijab. Se ci fosse un aggravante (che non c’è) Mia Khalifa non è neanche musulmana: proviene da una famiglia cristiana, in Libano il 45% della popolazione è di confessione cristiana. Mia Khalifa ha però i tratti inequivocabilmente mediorientali e ciò ha stuzzicato le fantasie degli sceneggiatori della Bang Bus, una casa di produzione pornografica di Miami. Il suo film d’esordio si chiama “Mia Khalifa is cumming for dinner”, una parodia zozza del famoso “Indovina chi viene a cena stasera?” in cui effettua diverse performance sessuali portando il velo islamico.
La fatwa contro Mia Khalifa
Qualcuno in Oriente si è poi incazzato. Qualche mese fa un gruppo di imam ha lanciato una fatwa contro di lei proprio mentre scalava le classifiche delle star più apprezzate dagli internauti. A votarla tanti americani e europei ma anche molti internauti dei paesi islamici. Secondo i dati raccolti da Google, sei dei paesi dove si fanno più ricerche su tematiche riguardando il mondo del porno sono a maggioranza musulmana: Pakistan, Egitto, Iran, Marocco, Arabia Saudita e Turchia.
Fare sesso portando l’hijab significa rappresentarlo come un feticcio sessuale agli occhi del maschio bianco medio stuzzicato, come sempre, dalla sua volontà di brama, di dominare donne presuntamente frustrate sessualmente, esotiche e sottomesse. E’ la continuazione volgare e contemporanea dell’Orientalismo. Di certo, in confronto a Mia Khalifa, i vignettisti di Charlie Hebdo, anch’essi anatemizzati da diverse fatwa incrociate, erano delle suore orsoline.
Intervistata dai media americani, Mia Khalifa ha dichiarato che la sua era una provocazione “all’interno di un’opera di fantasia” e dopo una parossistica serie di insulti ai lei rivolti sui sociali media ha scritto:”Credo che in Medio Oriente ci siano problemi più urgenti da risolvere, come fermare l’Isis per esempio”. Mia Khalifa è oggi una delle attrici più richieste dell’industria per adulti, il suo esotismo ha lanciato una nuova nicchia nel settore: l’Hijab porn. Gli studios di Las Vegas hanno già in lavorazione altri film con attrici pornografiche velate, di origine mediorientale e improbabili plot di sottomissione allo straniero di turno, nelle vesti di soldato americano di stanza in un imprecisato paese arabo-islamico che ha comunque bombardato e invaso.
Staremo a vedere se a far saltare ogni ponte di dialogo interculturale e a avvelenare ogni pozzo delle relazioni fra Occidente e Oriente basterà un’inquadratura di una donna cristiana dalla pelle ambrata e dagli occhi neri, nuda e con indosso un foulard islamico che pratica una fellatio all’uomo bianco che tutto ordina e che tutto comanda.
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