Terrorismo Parigi, la verità sugli attentatori e la paura a Roma
Stragi di Parigi: i legami con la Siria, chi sono realmente i terroristi e i timori per il Giubileo romano
Mentre cresce l’allarme per possibili attentati sul suolo italiano in vista del Giubileo, l’indagine sugli attentati di Parigi si sposta in Belgio, con la guerra in Siria come sfondo. Tre degli otto attentatori venivano infatti da Molenbeek, un quartiere popolare e di immigrazione nel cuore di Bruxelles dove il radicalismo si nutre di disagio sociale.
Manuel Valls, primo ministro francese aveva detto, all’indomani dell’attacco alla redazione parigina di Charlie Hebdo:” Il problema non è sapere se ci sarà un altro attentato in Francia o in Europa ma di quando e dove questo si verificherà”.
Vedi anche: Isis Italia a rischio dopo Parigi. Parla un ex funzionario Nato
La novità che più preoccupa le autorità francesi ed europee è l’uso di cinture esplosive. Una pratica inedita, senza precedenti in Francia. Gli attentatori suicidi dello Stade de France avrebbero fabbricato l’esplosivo in casa, miscelandolo con dei bulloni per ottenere il massimo danno possibile. Sono stati respinti all’ingresso dello stadio ma il loro obiettivo era quello di provocare il maggior numero di vittime e creare il panico all’interno di un grande evento con decine di migliaia di spettatori e gli occhi delle telecamere del mondo intero come l’amichevole di calcio Francia-Germania.
Ed è proprio in relazione a questo salto di qualità in termini di capacità distruttiva che in Italia cresce il timore per attentati in vista del Giubileo romano. Una preoccupazione legittima: la Chiesa è un obiettivo dichiarato dell’Isis ed è estremamente difficile controllare eventi di tale portata. Le autorità italiane sono in allerta ma determinate a non rinviare il Giubileo.
Otre ai controlli delle forze dell’ordine le strade che portano i migranti di seconda generazione al Jihad globale, dalla Siria al cuore d’Europa, sono da ricercare nei meccanismi di esclusione sociale e di ghettizzazione propri delle società occidentali.
Scrive Reza Aslan sociologo e studioso delle religioni di origine iraniana:”L’Islam in sé non promuove la violenza né la pace. E’ una religione e come tutte le religioni la sua espressione materiale dipende dalll’arbitrio di chi la pratica: se sei una persona violenta il tuo modo di vivere la religione sarà violento che tu sia musulmano, cristiano, ebreo o induista. Sono le persone a essere violente o pacifiche e questo dipende molto dalla società, dalla politica e dalla situazione di guerra o pace in cui vivono”.
L’Islam è un arcipelago acefalo che conta oltre un miliardo e mezzo di credenti nel mondo, una religione che si estende dalle coste marocchine fino al Pacifico. L’importanza di capire il contesto sociale, il brodo di coltura, in cui si sviluppa il radicalismo islamico è quindi fondamentale ed è evidente che un sermone pronunciato nella striscia di Gaza o a Kabul può essere nei toni e nei contenuti più acceso rispetto a una predica proveniente da Giacarta o da Dakar.
Cosi anche in Europa dove in contrasto alle posizioni ufficiali e maggioritarie delle grandi moschee istituzionali del continente si sono diffuse interpretazioni politicizzate “bolsceviche” dell’Islam. Idee e voci radicali anti-sistema che si alzano da alcune, piccole e isolate moschee spesso semi-clandestine presenti nell’underground delle grige e fredde periferie delle metropoli del Nord Europa. Piccole sale in cui coltivare e sperimentare la micidiale combinazione fra odio religioso e rabbia sociale.
Domina più lo sconforto che lo stupore in Belgio dopo la notizia che almeno tre degli otto attentatori di Parigi vengono o sono passati da Molenbeek, quartiere popolare di forte immigrazione della metropoli belga. Capitale del Belgio e d’Europa nonché sede di importanti organizzazioni internazionali come la Commissione Europea e la Nato, Bruxelles è una città complessa, multietnica, cangiante: accanto ai colletti bianchi che affollano le strade dell’elegante centro storico si è sviluppata una periferia urbana fatta di miseria, esclusione sociale e violenza in cui convivono vecchi e nuovi migranti.
La città ha cambiato pelle negli ultimi decenni: dai congolesi delle ex colonie del Regno ai nuovi europei arrivati dall’Est Europa grazie al processo di allargamento dell’Unione Europea passando per le grandi migrazioni storiche di italiani, portoghesi, turchi e magrebini degli anni ’50, ’60 e ’70. Le condizioni di vita in quartieri dell’agglomerato brusselese come Molenbeek, Scharbeek e Anderlecht sono dure e simili a quelle riscontrabili nelle banlieues parigine dove le rivolte di una gioventù che si sente esclusa dal benessere sono cicliche.
Secondo gli inquirenti francesi, pare siano state tre le cellule di terroristi entrate in azione venerdì 13 novembre a Parigi. La prima ha lanciato l’attacco suicida allo Stade de France. La seconda squadra è quella del sequestro e della mattanza della sala concerti “Café Bataclan”. L’ultimo gruppo è responsabile delle sparatorie che hanno seminato morte e terrore nei bar e nei ristoranti del X arrondissement. Secondo le autorità transalpine sette degli otto attentatori sarebbero morti durante gli attacchi.
Il venitseienne Abdeslam Salah è l’uomo più ricercato d’Europa, l’ultimo uomo dei commando. Il giovane belga originario di Molenbeek, è il fratello di Ibrahim Salah, uno degli attentatori suicidi ai caffè parigini. I due sono nati e cresciuti a Molenbeek ottenendo in seguito la nazionalità francese.
Erano entrambe noti ai tribunali belgi. A cominciare da Ibrahim già condannato per traffico di droga e per furto d’auto prima dell’adesione al jihadismo e alla redenzione nell’Islam più violento. Ibrahim è poi partito a combattere in Siria dove è stato raggiunto dal fratello minore Abdeslam, oggi ricercato. I fratelli Salah erano anche amici intimi di Abdelhamid Abaaoud, la mente presunta degli attacchi di Parigi. Anche lui è originario di Molenbeek ed è sulla lista nera dei servizi segreti di tutto il mondo da diverso tempo per il suo coinvolgimento come “”foreign fighter” in Siria.
I tre “belgi” del gruppo avevano in comune un percorso borderline di povertà, micro-criminalità e fanatismo religioso. Tutti e tre cresciuti ai margini delle società europee dove in mancanza d’altro, i giovani di famiglia musulmana aderiscono al radicalismo armato percepito come l’unica cornice attraverso cui contestare il presente.
Il potenziale di distruttività e imprevedibilità delle cellule jihadiste in Europa ha raggiunto livelli di brutalità mai visti: prendendo di mira bar, ristoranti, sale concerti e stadi i jihadisti hanno dimostrato di poter colpire indiscriminatamente ovunque e in ogni momento, sparando nel mucchio.
No Comment