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Veronica Guerrieri: “Italia fuori dall’euro? Solo incertezza e caos”. Intervista

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Ha meno di 40 anni, è tra i migliori economisti del nostro Paese, ha ricevuto la medaglia Carlo Alberto, riservata ai giovani studiosi italiani, ma – dopo laurea e master in Bocconi – se ne è andata dall’Italia. Naturalmente. Abbiamo intervistato Veronica Guerrieri, che da Chicago continua a studiare la vecchia Europa. La sua ricetta per il nostro Paese? Fare finalmente le riforme strutturali. A partire da quella della giustizia.

 

veronica guerrieri

Insegna dal 2006 alla Chicago Booth School of Business, una delle più prestigiose università al mondo. “Venendo dall’Europa, il malfunzionamento del mercato del lavoro ha sempre attratto la mia attenzione”, spiega.

Quali sono dal suo punto di vista le priorità per l’Italia e per l’Europa? Il lavoro? E come intervenire?
La disoccupazione è attualmente una delle piaghe più dolorose per l’Italia e per molti paesi europei. Secondo i dati Istat, la disoccupazione italiana ha raggiunto il 13.2% nell’ottobre del 2014 e quella giovanile (15-24 anni) il 43.3%. Un quadro drammatico. Cosa può fare il governo per aiutare gli italiani a trovare lavoro? Sicuramente una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro è un obiettivo importante per aiutare il Paese. Ma non è certo l’unico intervento che può aiutare a creare più posti di lavoro. Tra i molti problemi che affliggono l’economia italiana, penso che i più gravi siano una giustizia tra le più lente nel mondo occidentale, una corruzione dilagante e un cuneo fiscale troppo elevato. Questo quadro crea incertezza e scoraggia l’investimento sia italiano che estero.

L’Italia è in recessione. Eppure la priorità è stata a lungo l’articolo 18. Come ha visto dagli Stati Uniti il dibattito? Era veramente la priorità? Qual e’ il suo bilancio sul Jobs Act del governo Renzi?

L’Italia oggi ha due grandi problemi economici: non soltanto nel contingente sta attraversando una recessione che affligge tutta l’Europa, ma è anche un paese che non cresce ormai da venti anni. Per affrontare il primo problema, sarebbe utile che il governo promuovesse politiche fiscali espansive per aiutare a rilanciare la domanda ed aiutare il paese ad uscire dalla recessione velocemente. Questo significa che dovrebbe accettare un aumento transitorio del deficit, come è successo recentemente negli Stati Uniti. Purtroppo però l’Italia è entrata in recessione con un debito pubblico già molto alto e in un contesto europeo di crisi del debito sovrano che le ha imposto, al contrario, misure di austerità fiscale proprio nel momento della recessione. Rimane però aperta la possibilità di affrontare il secondo problema, quello strutturale di un Paese in stallo economico. L’unica speranza per l’Italia è puntare sulle riforme strutturali che riescano a rimettere in moto il motore della crescita. Tra l’altro questo avrebbe anche il vantaggio di riconquistare la fiducia dell’Europa. Penso che il Jobs Act vada letto in questa chiave. Purtroppo non sono sicura che da solo riesca in questo intento. È sicuramente un primo passo importante verso una riforma strutturale del mercato del lavoro necessaria per la crescita dell’Italia. Tuttavia è ancora incompleta su vari margini, come per esempio la contrattazione salariale collettiva.

Per rilanciare l’economia è fondamentale partire dal rilancio della domanda: come fare? E come intervenire sulla corruzione e i suoi effetti nefasti sull’economia?

Come dicevo purtroppo lo stato del debito pubblico italiano non lascia spazio di manovra per politiche fiscali espansive. L’unica speranza è che vengano promosse politiche espansive a livello europeo. Un piccolo passo in questa direzione è il cosiddetto “Piano Juncker” (approvato dal Consiglio dell’Unione europea al termine del semestre di presidenza italiana, il piano prevede la creazione di un nuovo fondo – Efsi – per gli investimenti strategici, con lo scopo di mobilitare 315 miliardi di euro nel triennio 2015-2017, ndr). Un altro fenomeno a livello Europeo che può aiutare la domanda in paesi in crisi come l’Italia è la svalutazione in corso dell’euro che può stimolare le esportazioni. Passando alla seconda parte della domanda, penso che combattere la corruzione sia una delle sfide più importanti e allo stesso tempo più dure che il nostro paese deve affrontare. Purtroppo la corruzione dilaga nelle istituzioni pubbliche, nel mondo del business privato, e nella cultura economica e politica italiana. Quindi è difficile proporre una ricetta vincente. Tuttavia alcuni interventi che potrebbero andare nella direzione giusta penso siano la semplificazione delle gerarchie decisionali e un significativo aumento delle sanzioni che insieme potrebbero aiutare la responsabilizzazione individuale.

Che giudizio ha dell’operato del governo Renzi e dei suoi provvedimenti in tema di economia?

Nel giudicare l’operato di un governo non si può prescindere dal contesto. Il 2014 è stato un anno molto difficile per l’Italia, ma più in generale per l’Europa. Quindi il governo si è trovato ad operare in una situazione di grave crisi economica, con il fardello di un debito pubblico elevato e l’impossibilità di aumentare il deficit. Detto questo, penso che il governo Renzi abbia speso troppo tempo ad affrontare riforme istituzionali, come la riforma del Senato, che dovevano essere in secondo piano rispetto al contesto di estrema urgenza economica. La legge di stabilità è una legge debole, in parte a causa del vincolo del deficit, ma forse anche in parte per la mancanza di approfondimento su dettagli importanti. In particolare, penso che il governo avrebbe dovuto concentrare le energie nella direzione di riforme strutturali che creino un ambiente favorevole all’investimento, come la riforma della giustizia e la semplificazione amministrativa e fiscale.

Lei sostiene che anche in Europa è necessario ricapitalizzare le banche come fatto negli Stati Uniti. Non pensa che sarebbe inaccettabile e incomprensibile dal punto di vista dei cittadini, e che in generale le banche in Italia e in Europa abbiano già goduto di trattamenti favorevoli mantenendo una stretta del credito che impedisce che la situazione cambi?

Prima di tutto, vorrei chiarire che per ricapitalizzare le banche non è necessario l’uso di fondi pubblici. Ricapitalizzare significa imporre ad una banca di emettere nuove azioni. Se una ricapitalizzazione viene imposta con debito anticipo, prima di arrivare al collasso, può evitare la necessità di salvataggi e nazionalizzazioni che invece comportano oneri per lo Stato. Una banca con un maggiore “cuscinetto” di capitale di rischio è più propensa a prendere rischi e quindi a fare prestiti alle imprese. Quindi ricapitalizzare le banche segnalate dalla Banca Centrale Europea è opportuno e va nella direzione di rimettere in moto il credito.

In Italia Beppe Grillo sta raccogliendo le firme per uscire dall’euro. Cosa ne pensa di questa eventualità? Cosa accadrebbe a Italia ed Europa se il nostro Paese uscisse?

Capisco l’argomento che l’unione monetaria europea imponga dei vincoli alla politica economica nazionale che sono costosi in momenti recessivi. Tuttavia, prima di tutto, bisogna tenere presente che essere parte dell’unione monetaria ha avuto per l’Italia il beneficio di avere bassa inflazione e un basso costo del debito pubblico per anni. In secondo luogo, anche se col senno di poi fosse desiderabile aver mantenuto una valuta indipendente, uscire dall’Euro oggi comporterebbe dei costi enormi perché richiederebbe una rinegoziazione di tutti gli impegni contrattuali tra cittadini dell’unione creando incertezza e caos.

Cosa pensa della situazione dell’imprenditorialità femminile italiana, in genere e in questa (lunga) crisi? Di quali provvedimenti avrebbe bisogno? E perché secondo lei non fa notizia pur essendo parte fondamentale del tessuto imprenditoriale italiano?

Purtroppo i dati mostrano che il mercato del lavoro femminile, imprenditoriale e non, è ancora indietro rispetto a quello maschile e rispetto a quello femminile di molti paesi occidentali. Chiaramente ci sono alcuni problemi specificamente femminili relativi all’erogazione di servizi legati alla maternità dove l’Italia deve fare molti passi avanti. Tuttavia, io penso che il problema vero sia più generale: l’Italia deve fare ancora una lunga strada di riforme legali e culturali per promuovere la premiazione del merito, che è l’unica speranza per la crescita di un Paese ormai immobile da tempo. Premiare il merito, per definizione, significa dare uguali opportunità indipendentemente dal sesso, ma anche dall’età, dalla religione, e dal colore della pelle.

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